Matteo e Gnà Mariuccia
Dall’inizio della guerra Matteo svolgeva la sua attività rivendendo al mercato nero i generi alimentari che andava a prendere ‘a muntata’, cioè nei paesini interni della Sicilia. Aveva clienti fissi: quando gli dissero che in un fondaco a mare vicino a Bagheria abitava una vedova anziana con le sue 3 figlie pensò immediatamente che era una buona occasione per aumentare il giro dei suoi affari.
Era la fine di agosto del ’42 quando Matteo si fermò per la prima volta a Fondachello. Dal vecchio portone di legno uscì una donna anziana, ma ancora dritta come un fuso e dalla pelle e straordinariamente levigata per la sua età: portava un fazzoletto annodato sul collo e lo fissò con sguardo penetrante. Si vedeva che era abituata valutare gli estranei di primo acchito. Ma neanche Matteo era un pivello e decise istantaneamente di essere diretto e franco nella sua offerta, senza girarci intorno.
«Buon giorno gnà Mariuccia, l’atra vota passavu alla trebbia di don Onofrio che mi fici u sò nomi.
Comu stamu? Aviti bisognu? »
(Buon giorno signora Mariuccia – così era chiamata Nonna Maria – l’altra volta son passato alla trebbia di don Onofrio che mi ha fatto il suo nome. Come state? Avete bisogno di qualcosa?)
Don Onofrio era il cognato della nonna perchè aveva sposato Teresina Maggiore, sorella di nonna Maria ed era il proprietario dell’unica trebbia di Bagheria. Era benestante perchè in tutto il circondario c’era solo la sua trebbia per macinare il grano
Nonna Maria lo scrutò attenta, pensando di controllare nella sua prossima visita alla sorella l’affidabilità di Matteo
«E comu amu a stari..’u bisognu c’è sempri (come dobbiamo stare… il bisogno c’è sempre)
– rispose cauta, poi aggiunse:
«’nà sti tempi ‘u pitittu si cuonsa cà fami… Mancanu i generi primari. E vui chi purtati?
(in questi tempi l’appetito è condito dalla fame… mancano i generi di prima necessità. Voi che portate?)
«Io vi posso venire incontro… – rispose pronto Matteo
« Vaiu nè Nebrodi, ai paisi a muntata 2 voti o misi e arricioppo farina carni ‘nsaccata primusali e ricotta salata, mennuli, alivi e puru pummaruoru siccu pì lu sugu»
(Vado su nei Nebrodi, nei paesi montani 2 volte al mese e faccio provvista di farina, carne insaccata, primosale e ricotta salata, mandorle, olive ed anche pomodoro secco per il sugo)
«Si i prezzi sunnu ragionevoli ni putimu parlari»
(Se i prezzi sono ragionevoli ne possiamo parlare) – rispose nonna Maria interessata
Alla fine fu facile mettersi d’accordo: Matteo passava per essere di cuore magnanimo, perchè aveva sempre un occhio di riguardo per le donne, specie se anziane, tanto poi il piccolo sconto che faceva loro se lo ripagava con gli interessi quando trattava con i clienti maschi, specie se facoltosi. Così si era guadagnato la fama di esser uomo generoso e gli affari andavano a gonfie vele. Non era facile fare il contrabbandiere in tempo di guerra: occorreva ‘quartiarsi avanti e ‘narrieri’ (guardarsi davanti e alle spalle) … ogni viaggio era non solo pericoloso ma persino una sfida alla morte a causa delle operazioni militari e per le bande dei fuorilegge e dei disperati che si muovevano sul territorio.
Matteo, era una persona accorta ed era ben consapevole che la sopravvivenza era una linea sottilissima legata a molti interessi, bastava ‘uno sgarbo’ alla persona sbagliata ed era la fine e non solo degli affari; pur essendo di indole forte e coraggiosa il suo agire era improntato alla prudenza, per un forte istinto di sopravvivenza legato forse al ricordo, rimosso ma mai completamente sopito del padre morto ammazzato negli anni venti. Matteo aveva un legame fortissimo quasi viscerale con la madre e le sorelle e come unico maschio di casa sentiva la responsabilità di provvedere al loro sostentamento; non mancava mai di passare, almeno una volta, all’andata o al ritorno dei suoi viaggi, da Villalba, comune sotto il controllo di don Calò, per omaggiarlo di qualcosa. Quella era la sua assicurazione sulla vita: mostrare apertamente che era sotto la protezione di don Calogero Vizzini, boss incontrastato di Villalba.
Nel 1931, durante il regime fascista, don Calò era stato inviato dal prefetto Cesare Mori al confino a Chianciano, lontano dalla Sicilia, perché si sospettava avesse legami strettissimi con la mafia. Fece ritorno nella sua terra solo nel 1937, ma gli americani, dopo il loro sbarco nell’isola, lo fecero nominare sindaco al posto del podestà fascista che c’era prima. Secondo la storiografia più recente furono proprio i mafiosi a favorire lo sbarco alleato del ’43 in Sicilia.
Le prime volte Matteo aveva trattato esclusivamente con gnà Mariuccia per la consegna del carico,ma la terza volta, un giorno d’autunno del ’42, mentre scaricava la roba, accanto alla madre si presentò Teresa, la figlia maggiore di nonna Maria: Matteo ne rimase folgorato: gli sembrò così lontana dal suo mondo e dalle donne (molte, giovani ed avvenenti) che aveva frequentato sino ad allora. Teresa non era piú giovane, era già sulla quarantina, ma aveva un qualcosa, che lui stesso non riusciva a definire, come un’aura lontana di signorilità unita ad una fortissima carica di sensualità e femminilità che ogni volta che ci pensava gli rimescolava il sangue. Però si controllava e nulla lasciò trasparire per tutto il ’42 e sino ai primi mesi del 43.
Da quella prima volta le sue visite al fondaco divennero pù frequenti; al ritorno dei viaggi ‘a muntata’ invece di prendere la via più diretta passando per Vicari e Villafrati, deviava per Caccamo e Termini Imerese lungo, la trazzera battuta dai carrettieri che costeggiando il mare, arrivava fino a Fondachello, il che lo faceva allungare di almeno mezza giornata. Ma questo lui non lo diceva, anzi prendeva la scusa di fermarsi al fondaco pr far ristorare ed abbeverare il cavallo, ed era questa la ragione per cui tanti carrettieri si fermavano al fondaco che gnà Mariuccia gestiva dopo la morte del marito. Lui non mancava mai di omaggiare Gnà Mariuccia e le figlie con qualcosa di speciale. Una volta portò un intero rotolo di tela perché allora le ragazze da marito si ricamavano a casa le lenzuola e le tovaglie per il corredo.
Dal settembre del 1942 le lettere di Nino si erano interrotte e Teresa pensava a lui con sentimenti contrastanti perché in cuor suo continuava a rimproverargli di essere partito volontario per il fronte all’inizio della guerra.
Ad aprile Matteo iniziò a farle ua corte discreta ma più esplicita. Lei non lo incoraggiava ma neanche lo respingeva. Matteo non sapeva che Teresa aveva già un fidanzato palermitano che era partito per il fronte: nessuno gliene parlò, neanche Teresa e la cosa rimase nascosta fino a dopo il matrimonio.