Capitolo 3
I genitori di Lietta, Matteo e Teresa si erano sposati nel 1943, nel periodo della seconda guerra mondiale, subito dopo lo sbarco anglo-americano in Sicilia: in quei tempi, nel paese prostrato dalla guerra, c’era solo fame e miseria. Matteo, come figlio di madre vedova si era risparmiato la leva. La sua famiglia era povera, e alla morte del padre, come unico figlio maschio era diventato il capofamiglia con la responsabilità di provvedere oltre che alla madre anche alle 3 sorelle con le loro numerose famiglie perchè tutti gli adulti maschi erano stati arruolati come soldati.
Matteo aveva un carattere forte ed indipendente, amava il rischio con sprezzo del pericolo e negli anni difficili del secondo conflitto mondiale, per sopravvivere, si era messo a fare il contrabbandiere. Contrabbandava vettovaglie di ogni genere dall’interno della Sicilia verso i paesi costieri: grano, formaggi, farina, salumi…
In tempo di guerra il contrabbando assicurava guadagni ingenti per chi ne avesse saputo approfittare, ma era un’attività oltremodo rischiosa; per questo motivo girava sempre armato ed all’occorrenza sapeva come difendersi dagli attacchi dei malintenzionati. Se il carico non era eccessivo, ed i fornitori si tovavano entro un raggio di 70 km, andava a cavallo ed al ritorno caricava i sacchi sul dorso dell’animale a mo’ di bisacce; quando la destinazione era più lontana e le strade sterrate percorribili, attaccava una mula al carretto. Curava personalmente la consegna, andando casa per casa e contrattando il prezzo a seconda dell’agiatezza ed anche dello stato sociale dei compratori.
In questo modo aveva conosciuto Teresa, la sua futura moglie, che abitava con la madre, rimasta vedova in giovane età con 4 figli, in un fondaco di campagna vicino al mare. Per la consegna e la contrattazione delle vettovaglie aveva a che fare con le due sorelle maggiori Teresa e Rosa, quest’ultima cercava sempre di tirare sul prezzo ma tra una richiesta e l’altra gli lanciava anche qualche sguardo complice d’intesa, e si capiva che sarebbe stata disposta ad andare oltre, ma il suo messaggio implicito cadeva nel vuoto, perchè Rosa, a differenza della sorella, aveva modi spicci ed atteggiamenti da maschio, cosa che a Matteo istintivamente trasmetteva un certo disagio. Perchè lui da subito era rimasto folgorato dalla sorella maggiore, la “signorina” Teresa, come si usava allora chiamare le ragazze nubili di buona famiglia.
Matteo non disdegnava certo le donne, ed alla soglia dei quarantanni ne aveva avute parecchie, di ogni estrazione sociale, grazie all’aspetto aitante ed alla sua intrapendenza, ma mai con intenzioni serie: fino ad allora. Matteo era rimasto letteralmente affascinato dalla “signorina Teresa”, era stato colpito dalla signorilità dei modi e dalla raffinatezza di Teresa, dal suo sorriso aperto ed anche dalla cura che aveva del suo aspetto persino in tempi grami come quelli. Certo, non gli era sfuggito che “la signorina” in quanto appartenente ad una classe sociale superiore alla sua si dava delle arie e non lo nascondeva, ma la prese come una sfida. Va detto che nel secolo scorso le donne si sposavano giovani, a ventanni erano già madri e le quarantenni erano considerate “stagionate” a meno che… come nel caso di Teresa, avessero un’ innata carica di seduzione.
Teresa era di aspetto ancora gradevole, curava l’estetica e l’ordine della persona persino in tempo di guerra e malgado non fosse più giovanissima emanava una carica di femminilità molto evidente, qualità molto apprezzata da Matteo, che aveva delle donne una concezione molto arcaica. In amore, come nella vita, gli piacevano le sfide: la sua donna ideale, doveva essere bella, disponibile, magari d’intelligenza vivace, ma soprattutto da conquistare e sottomettere, perchè in casa come fuori doveva essere l’uomo a comandare.
Lei non lo aveva respinto, in un certo modo aveva visto in lui l’uomo forte che avrebbe potuto garantirle un’esistenza agiata dopo la fine della guerra. Era rimasta lusingata dal suo corteggiamento ma non lo amava, nè mai avrebbe potuto amare un uomo di estrazione popolare.
Da giovane, intorno agli anni ’30, al tempo in cui aveva frequentato i salotti di Palermo era molto corteggiata ed aveva avuto qualche cotta e molti flirt che aveva vissuto in modo leggero finchè non aveva incontrato l’uomo della sua vita, o almeno così credeva: si chiamava Antonino, chiamato affettuosamente in famiglia Nino ed era stato il suo unico vero amore.
Era un avvocato figlio di un notaio fascista, probabilmente destinato a proseguire l’attività del padre dopo la guerra. La sua famiglia apparteneva alla nascente borghesia palermitana. Nino amava frequentare i salotti mondani di Palermo dove oltre a condividere le nuove mode che arrivavano d’otre oceano, (primo tra tutti il ballo del charleston), si incontravano intellettuali ed artisti dell’epoca. Tra Nino e Teresa nacque un’attrazione che presto si trasformò in amore e si fidanzarono ufficialmente. Purtroppo lui in politica era un fanatico ed era un convinto sostenitore di Mussolini, perció allo scoppio della seconda guerra mondiale, prima ancora di essere richiamato e contro il volere della famiglia, era partito volontario per la guerra.
Prima di partire lui le dedicò una poesia appassionata che trascrisse sul retro di una sua fotografia, poi strappò la foto a metà, una la tenne per sè l’altra la consegnò a lei, come pegno di imperituro amore, dicendole che avrebbero riletta insieme la dedica qualora si fossero ricongiunti. Teresa, si fece trascrivere la poesia anche sulla sua foto originale, che però non strappò conservandola intera: non si era esaltata più di tanto per quel romantico pegno d’amore: non gli perdonó nè prima nè dopo la scelta di arruolarsi volontario, vissuta da lei come se lui l’avesse messa al secondo posto dopo il partito. Ma fu particolarmente lusingata da una terzina della composizione:
𝐷’𝑎𝑙𝑡𝑒 𝑉𝑖𝑟𝑡𝑢’ 𝑙𝑜 𝑠𝑝𝑖𝑟𝑖𝑡𝑜 𝑡𝑢𝑜 𝑠𝑖 𝑝𝑎𝑠𝑐𝑒
𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑖𝑡𝑎’ 𝑖𝑙 𝑐𝑢𝑜𝑟 𝑎𝑙𝑏𝑒𝑟𝑔𝑎
𝑐𝑜𝑟𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜 𝑒 𝑓𝑜𝑟𝑧𝑎 𝑖𝑛 𝑡𝑒 𝑎𝑙𝑏𝑒𝑟𝑔𝑎…
Quando dopo un paio d’anni fu dato per disperso sul fronte russo, Teresa lo rimosse dalla sua vita: non fece ricerche nè coltivò l’illusione o la speranza di un suo ritorno a guerra finita, considerò il suo fidanzamento una parentesi, un ricordo sbiadito di un qualcosa vissuto in un altro tempo ed in un’altra vita.
Perciò quando conobbe Matteo, non ebbe remore ad accettare le avances del nuovo corteggiatore, decise che era venuto il momento di guardare altrove e pensò di cogliere l’occasione al volo. Calcolo, cinismo? Non proprio, lei era fatta così e detestava ogni forma di sentimentalismo. Non era cattiva d’animo, ma calcolatrice e superficiale si: i suoi valori prioritari erano il denaro e lo stato sociale. Teresa aveva ormai 40 anni e la cosa che temeva di più era di restare zitella, una condizione sociale per lei inaccettabile. Aveva una mente raziocinante, poco incline alla passione, ambiva con il matrimonio a raggiungere uno stato di benessere e ricchezza tali da consentirle di diventare una “signora”, come le sue cugine che abitavano nella Torre che sovrastava il fondaco di proprietà della sua famiglia, le quali avevano sposato tutte uomini ricchi ed influenti: una in particolare aveva sposato un erede dei principi di Valdina.
Nutriva un certo malcelato disprezzo per l’estrazione popolare del suo nuovo corteggiatore, ma teneva in gran conto i grandi guadagni che, ne era certa, aveva accumulato con il contrabbando, e contava dopo il matrimonio di fargli allentare i rapporti con la sua famiglia d’origine considerata troppo impresentabile per quei salotti bene della vicina Palermo che lei aveva frequentato prima dello scoppio della guerra. Aveva sottovalutato i valori di lui, che invece aveva un fortissimo legame con la madre e le sorelle: per lui la famiglia, originaria ed acquisita era sacra e come si vedrà in seguito, su questo non era disposto a transigere. Intanto la guerra impresse una svolta decisiva nella storia di Teresa e Matteo.
Nel luglio del 1943 ci fu lo sbarco anglo americano in Sicilia, agevolato dalle trattrative della mafia italoamericana con il governo degli Stati Uniti. Gli americani occuparono la parte occidentale dell’isola, gli inglesi la piana di Catania: le truppe naziste furono prese alla sprovvista e dopo qalche combattimento di lieve entità fecero una precipitosa ritirata in Calabria.
il Governo militare di occupazione, che era alla ricerca di antifascisti da sostituire alle autorità locali fasciste, in cambio dell’appoggio ricevuto per lo sbarco, sostituì i prefetti, favorì l’ascesa politica di alcuni personaggi mafiosi e al posto dei podestà fascisti nominó i sindaci di estrazione mafiosa, come il noto capomafia di Villalba, Don Calò Vizzini, mentre a Palermo venne nominato Lucio Tasca Bordonaro, Conte d’Almerita capo del movimento separatista siciliano legato anche lui alla mafia.
Così la mafia, efficacemente combatttuta durante gli anni ’30 dal Prefetto Mori e che durante il periodo fascista era rimasta come sommersa nel tessuto sociale, dal ’40 in poi si riprese in tutta l’isola larga libertà di movimento. Ma anche nell’intervallo tra gli anni ’30 e lo scoppio della seconda guerra mondiale, i campieri non avevano mai cessato la loro attività: erano diventati, una sorta di “bravi” al servizio ed a guardia armata delle baronie di proprietà di una classe nobiliare sempre più decaduta. Poi con lo scoppio della guerra si erano messi a gestire in proprio anche i lucrosi traffici del contrabbando come per l’appunto gli alimenti ma anche armi, benzina e sigarette. Nella Sicilia del 1943 comandavano i mafiosi sotto l’ombrello americano e dopo lo sbarco, i bombardamenti erano praticamente finiti ancor prima del 1945.
Di tutto questo Teresa aveva notizie di prima mano sempre per via dei cugini della Torre e poichè aveva una mente sveglia non le ci volle molto a capire che Matteo non avrebbe potuto fare il mestiere che faceva senza i contatti giusti, per cui a guerra finita era destinato a fare carriera, lei si augurava in politica, e comunqe tale da garantirgli il salto sociale. Questi ragionamenti, che tuttavia si guardava bene dall’esplicitare, influirono non poco nella sua decisione di cogliere l’occasione al volo e sposare Matteo di cui tra l’altro apprezzava la prestanza fisica. Il fidanzamento fu breve, certamente non adeguato per conoscersi reciprocamente.
Matteo e Teresa convolarono a nozze nel dicembre del 1943. Fu comunque un matrimonio di guerra senza foto né cerimonia, con la sola presenza in chiesa dei parenti stretti.
La mafia che aveva favorito lo sbarco degli alleati ora controllava le attività di tutto il territorio era in piena espansione e Teresa ne era certa, il suo Matteo sarebbe stato tra i protagonisti della ripresa economica. Quel matrimonio per lei era stata un’unione di convenienza: con la guerra gli anni erano scivolati via in fretta ed a 40 anni nella Sicilia di allora rischiava di restare “zitella” status sociale poco compatibile con le sue ambizioni sociali: lei detestava, senza vergognarsene, la miseria ed i poveri. Diventare una “gran signora”, questa era la sua ossessione; con il suo primo fidanzato, il suo sogno stava per realizzarsi ma poi era svanito nel nulla quando lui era stato inghiottito dalle nevi della Russia: Teresa covava dentro un rancore sordo, non gli perdonava il fato di essersi arruolato volontario, magari sarebbe stato richiamato lo stesso, però per Teresa ogni gesto di idealismo puro era una colpa grave oltre che segno d’incoscienza.
Prima e dopo il matrimonio nutriva un certo fastidio ed un malcelato disprezzo per l’estrazione popolare del marito, ma non lo faceva trapelare, almeno all’inizio: era disposta a passarvi sopra per accasarsi con uomo che secondo i suoi intendimenti, le avrebbe assicurato; ne era certa, un futuro agiato e di benessere.
Matteo invece era molto innamorato: con quel matrimonio gli era sembrato di toccare il cielo con un dito: il futuro, in pochi anni avrebbe distrutto le sue illusioni e forse anche il suo amore.