Capitolo 1
La Nascita del Senso del Sacro
Rosalinda, in famiglia chiamata affettuosamente Lietta, era una bimba con le treccine bionde, paffutella, ciarliera e gioiosa, amatissima dalla famiglia della nonna materna perchè arrivata tardi ed era comunque l’unica bimba tra tanti adulti.
La sua nascita era avvenuta alla fine della seconda guerra mondiale, per i suoi genitori quasi un augurio della vita che ricominciava dopo le violenze e gli stenti che accompagnano ogni guerra. La vita ricominciava si, ma passata la paura e la solidarietà che si instaura in una comunità nelle emergenze, dopo poco erano ripresi i conflitti a livello individuale, perchè l’uomo è fatto così, capace di grandi atti di eroismo se si trova in situazioni critiche ma, passato il pericolo, tende poi a dimenticare o peggio, a rimuovere tutto.
Così era avvenuto nella famiglia di Lietta dove le liti tra il marito della mamma e le cognate erano degenerate a tal punto da costringere la famiglia della mamma a trasferirsi dal borgo natio nel paese vicino. La nonna era rimasta invece con le due figlie nubili nel luogo dove aveva sempre abitato sin dall’epoca del suo matrimonio. Una volta a settimana però Lietta, accompagnata dalla mamma, si recava a trovare la nonna e fu in una di quelle occasioni che, per vie tortuose ed imperscrutabil, avvertì per la prima volta il senso del Sacro.
La nonna era una donna, dal carattere mite con il volto diafano segnato da rughe sottili che si intersecavano come fili di un merletto intessuto nel tempo sul suo volto. Da giovane la descrivevano come una donna forte e determinata, sempre in anticipo per i suoi tempi, poi con il passare degli anni, i suoi lineamenti si erano rassegnati alle sconfitte della vita ed era diventata una vecchietta minuta e fragile, con le mani tremanti per il Parkinson che avanzava. Il suo corpo minuto era spesso scosso da interminabili brividi di freddo, amava stare al sole in giardino, spesso con una corona di gatti intorno, accoccolata in una poltrona di vimini rivestita da cuscini.
Ed era in quella poltrona, disposta nell’angolo più soleggiato del giardino che aspettava la visita settimanale della nipotina. La accoglieva sempre con un sorriso e con una caramellina che tirava fuori come per magia dall’angolo più riposto della poltrona di vimini; senza baci ed abbracci però, espressioni d’affetto per lei inusitati, che da giovane anzi chiamava smancerie, cosa che aveva tramandato alle sue figlie: infatti Lietta non ricordava di aver mai ricevuto particolari effusioni dalla sua mamma.
Nonna Maria sostituiva le mancate effusioni alla nipotina, con una storia sempre diversa e dedicata solo a lei che lasciavano ogni volta la bambina a bocca aperta e felice per la scoperta di nuovi orizzonti inesplorati.
Lietta dal canto suo era dotata di una fervida immaginazione e le storie che ascoltava dalla nonna, come parole dotate di ali, diventavano immagini che fluivano incessantemente nella sua mente. Alla fine di ogni storia la nonna, come per magia, tirava fuori da sotto il cuscino una caramella, un lusso per quei tempi postbellci in cui erano sconosciuti dolcetti e merendine tranne quelli fatti in casa!
Poi venne il giorno della svolta: un pomeriggio soleggiato come gli altri, nonna Maria rivolgendosi a Lietta con il sorriso luminoso di sempre le disse che quel giorno non le avrebbe dato nessuna caramella, ma aggiunse, subito in tempo per non vedere scorrere un grosso lacrimone sulle guance della bimba che subito aveva cominciato a pensare ad una punizione per chissà quale improbabile marachella: “Vai a nasconderti nella caverna fatata del plumbaco e non uscire finchè non ti chiamo!”
Il giardino della nonna nell’immaginario di Lietta era un luogo magico, odoroso e variopinto perchè ricco di fiori dai mille colori: c’erano belle di notte e campanelli rosa, sterlizie, agavi e piante di aloe; e poi ancora cactus messicani e ancora piante esotiche e spettrali come il Mostruoso, un cactus spinoso originario dal Centro America, che la zia Rosà, grande appassionata di piante trafugava qua e là a volte anche dall’Orto Botanico di Palermo, per rimpiantarle nel giardino di casa. Era lei il pollice verde della famiglia.
Nella fervida immaginazione della bimba quelle stranissimo piante, così diverse da quelle che vedeva nei giardini del paese, a volte si animavano: si mettevano anche loro a raccontare delle storie e persino combattevano tra loro. Quando succedeva questo, Lietta andava a rifugiarsi sotto i fiori cerulei del di plumbaco una pianta rampicante lasciata crescere fino a formare la struttura fiorita di una grotta.
La nonna la lasciava fare, era il loro piccolo segreto. Lietta era una bambina curiosa e non era mai accaduto prima che fosse la nonna a chiederle di andare nella grotta fiorita di plumbaco, il suo rifugio segreto. Perciò dimenticò subito la frustrazione per la caramella mancata, curiosa com’era corse via e si rannicchió sotto i fiori di plumbaco in trepidante attesa.
Non dovette attendere molto tempo nella grotta odorosa e quando la nonna le disse di uscire, ritornò correndo verso di lei. Nonna Maria stringeva tra le dita sottili, tremanti come battiti incessanti di ali di farfalle, (per via del Parkinsons), un qualcosa di luccicante che sfavillava negli ultimi bagliori di un pomeriggio settembrino. Era una barretta di cioccolato, delizia sconosciuta nei primi anni posbellici.
Ogni volta che le aveva dato una caramella la nonna le diceva che l’aveva portato un angioletto dal cielo ma non aveva mai approfondito la questione. Quella volta invece si mise a parlare proprio del Cielo: esisteva lontano lontano dalla terra, su nel cielo, “sacro”, disse proprio così,un posto chiamato Paradiso, abitato da piccoli esseri alati chiamati angioletti, in tutto simili ai bambini tranne che per le ali; ogni tanto qualcuno di loro scendeva svolazzando sulla terra e portava ai nonni cioccolatini o caramelle per darli ai bambini buoni.
Però in un’altra parte del Paradiso abitavano anche degli Angeli più grandi, dall’aspetto di giovani sui ventanni: ogni volta che nasceva un bambino. uno di loro scendeva sulla terra e gli camminava accanto per proteggerlo, anche quando diventava grande, però bisognava pregarlo ogni giorno con la preghiera a lui dedicata e bisognava imparare a memoria:
“ANGELO DI DIO
che sei il mio custode reggi e governa me che ti fui affidato dalla bontà celeste. Amen”.
Questa fu per Lietta la sua prima ed unica lezione di Catechismo, almeno fino alla prima Comunione: la mamma la portava la domenica alla messa ma tutto finiva lì. Per di più c’era sull’altare un prete che indossava uno strano vestito, ogni settimana di un colore diverso: dava sempre le spalle ai fedeli e parlava in una lingua sconosciuta chiamata latino. La funzione della messa era per Lietta incomprensibile e sperava che finisse al più presto. Quando Lietta chiedeva il significato delle parole in latino, la mamma le rispondeva invariabilmente che era troppo piccola per capire e doveva stare buona.
Lietta era una bambina curiosa e quando non riceveva risposte alle sue domande diventava irrequieta, ma la mamma non era come la nonna: non raccontava storie e rispondeva invariabilmente che era troppo piccola per avere spiegazioni. Durante la messa Lietta avrebbe voluto correre fuori sul sagrato, dove il suo papà stava con molti altri uomini a fumare, in attesa che finisse la messa, ma la mamma le diceva che non poteva uscire perchè era femmina.
Passarono alcuni anni dalle visite di Lietta al giardino incantato, nonna Maria era già morta, ma lei non aveva dimenticato le sue storie e a volte di notte faceva dei bei sogni, con gli angioletti che svolazzavano in cielo.
Ed arrivò il giorno della preparazione alla prima Comunione e così la mamma iscrisse Lietta al Catechismo: lì c’era un prete che parlava del Paradiso come di un luogo abitato da un vecchio barbuto che bisognava chiamare Padre, e poi c’era suo figlio un uomo adulto che si chiamava Gesù Cristo che però stava appeso su una Croce; sopra entrambi svolazzava un’unica colomba. In Paradiso abitava anche una donna giovane che si chiamava Maria, “come la mia nonnina” – pensò subito Lietta – e che portava in grembo un fanciulletto di c.ca 4 anni che si chiamava Gesù e che il prete diceva che era lo stesso di quello appeso sulla Croce.
In quel Paradiso là non c’era traccia di Angeli, perciò Lietta non credette una parola di quello che diceva il prete, e pensò che fosse un bugiardo. In compenso alla prima Comunione imparò a memoria altre preghiere come il Padre Nostro, l’Ave Maria, l’Atto di dolore etc. e pure il Credo che però era una preghiera che non capiva. Finita la Comunione smise di dire le preghiere fino alla Cresima, tranne l’Angelo di Dio che le aveva insegnato nonna Maria.